“MI SONO MESSO A PASSEGGIARE IN QUESTA NEBBIA”: QUATTRO PASSI NELLA CITTÀ DELLA CANZONE

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“MI SONO MESSO A PASSEGGIARE IN QUESTA NEBBIA”: QUATTRO PASSI NELLA CITTÀ DELLA CANZONE

                    

 

 “MI SONO MESSO A PASSEGGIARE IN QUESTA NEBBIA”:
QUATTRO PASSI NELLA CITTÀ DELLA CANZONE

INTERVISTA AD ALESSANDRO FIORI (prima parte)

a cura di Alessandro Bratus e Gabriele Sfarra

Novembre 2016. A pochi giorni dall’uscita di Plancton, suo quinto album da solista, Alessandro Fiori è stato ospite della Città della Canzone. Per una settimana ha guidato quattro cantautori e un pubblico di musicisti e musicologi nell’ormai consueto workshop sulla canzone.

Prima del concerto finale, in cui si è esibito insieme a Colapesce e ai giovani cantautori che hanno presentato i frutti del lavoro di scrittura collettiva, abbiamo scambiato quattro chiacchiere sull’esperienza de La Città della Canzone e sui temi affrontati da Danzare Di Architettura: dall’ascolto  alla scrittura, dal fare canzoni al rapporto col mondo della critica.

 

La quarta edizione de La Città della Canzone, una settimana di lavoro collettivo sulla canzone per giovani cantautori, sta arrivando alla sua conclusione. Ti va di parlare di questa settimana di workshop?

Cosa dire? Oggi è sabato, manca solo l’esibizione-festa finale. Il lavoro è stato fatto. È strano, ma al contempo mi sembra di essere arrivato ieri e di conoscervi da un paio d’anni.

Sono molto contento dell’esperienza. E sono contento anche di me, perché sono venuto qua senza nessun tipo di certezza, portandomi dietro solo i miei anni di esperienza e di attività intorno alla canzone. Sono felice di essermi buttato in questa avventura. All’inizio non sapevo per filo e per segno quello che avrei dovuto affrontare. E a conti fatti sono felice perché mi è sembrato di essere utile.

Da un punto di vista personale mi è piaciuto molto il fatto che per una settimana sono stato in contatto con ragazzi molto giovani che approcciavano da poco il mondo della canzone e della musica in generale e, contemporaneamente, con gente della mia età che aveva affrontato queste cose in maniera diversa. Magari con un percorso differente dal mio, non legato all’attività concertistica o necessariamente alla fase creativa (composizione etc.), ma che comunque in un certo senso già mi conosceva come oggetto di studio. Ed è stato bellissimo con Stefano [La Via] o con Alessandro [Bratus] perché ci siamo scoperti stimolo reciproco. Io ho chiarito delle cose. Così è successo per voi. Altre cose le ho trovate più fumose. E quando mi sono messo a passeggiare in questa nebbia ho trovato degli stimoli per fare quel passettino e andare oltre quello che già ora leggevo di questa esperienza.

La cosa che mi è piaciuta più di tutte è che ci sia stata una partecipazione costante di tanti giovani e giovanissimi che si sono sentiti non respinti, ma anzi integrati in maniera molto naturale da questa nostra esperienza. Ed è stato bello perché poi si sono messi al servizio degli arrangiamenti, della fase di esecuzione.

 

Rispetto a questa settimana, hai inquadrato uno o più momenti che hanno spaccato, articolato il lavoro oppure ti è apparso un processo fluido? Ci sono stati dei momenti di svolta?

Mi è sembrato un processo molto fluido. C’è stato bisogno giusto di un po’ di coraggio all’inizio. Come prima di buttarti in acqua, perché pensi che sia fredda. Poi più nuoti più ti accorgi che l’acqua ha una temperatura perfetta. È stato molto bello il modo in cui ci siamo venuti incontro, voi e me. Ci siamo sempre trovati in un punto di incontro molto naturale tra l’osservazione “teorica” di una situazione e l’affrontarla in maniera pratica, come io sono abituato a fare per andare di là. Durante il workshop mi è capitato più di una volta di trovarmi in momenti di condivisione, di riflessione su una questione, e io che avevo già vissuto quei momenti tante volte come musicista o come produttore artistico sapevo benissimo come sarebbero state risolte praticamente quelle cose. Però mi piaceva molto prendermi del tempo lì. Per me quello non era un pazientare. No. Tutt’altro. Per me quelli erano dei momenti molto importanti.

Altrimenti è un attimo che tutto si riduca a far chilometri, montare e smontare studi, caricare e scaricare macchine. Per questo mi è piaciuto ogni tanto prendermi delle pause, fare un passo indietro e vedere delle persone che parlavano di una cosa. Fare una pausa. Per me era come fare un attimo pausa e godermi proprio lo still da video. Questa cosa mi è piaciuta tantissimo.

Magari singolarmente ogni brano, in fase di ricostruzione e di arrangiamento, ha avuto un momento chiave, in cui ha preso in maniera decisa una direzione.

Ti dirò, ma non per manie di protagonismo, che  ci sono stati un paio di momenti in cui, avendo avuto più tempo, mi sarebbe piaciuto occuparmi anche della fase di registrazione. Ma non perché non mi sia trovato bene con Nicola [Il nostro mitico fonico Nicola Cruz Carenzi. Ndr]. Tutt’altro. Ma perché anche quella è una cosa che fa parte del mio lavoro e mi sarebbe piaciuto fare vedere agli studenti anche come mi approccio alla registrazione, alla microfonazione,… Anche lì i ragazzi avrebbero potuto capire delle cose di me.

… Aspetta…

Forse c’è stato un momento di svolta simbolico. Potrebbe essere stato il mio concerto di martedì sera al Fico. Perché lì dal punto di vista del collettivo c’è stato un piccolo sblocco. Un piccolo scalino che ha aiutato tutti a farsi forza. È bello che abbiano potuto vedermi all’opera quasi subito, perché senz’altro abbiamo fugato tanti equivoci. Nel momento in cui gli dicevo una cosa, da mercoledì loro capivano esattamente quello che gli stavo dicendo.

 

TO BE CONTINUED …

 

 

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