“LA RICETRASMITTENZA”: INTERVISTA AD ALESSANDRO FIORI (seconda parte)

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“LA RICETRASMITTENZA”: INTERVISTA AD ALESSANDRO FIORI (seconda parte)

LA RICETRASMITTENZA:

INTERVISTA AD ALESSANDRO FIORI

(seconda parte)

Alessandro Bratus, Gabriele Sfarra

 

Quest’anno abbiamo dato vita ad un progetto ‘spin-off’ de La Città della Canzone, che si chiama Danzare Di Architettura. Abbiamo organizzato quattro incontri in cui ci siamo concentrati sul genere della recensione di dischi. Abbiamo chiesto di parlare delle recensioni a un produttore e  musicista [Federico Dragogna] , un giornalista [Claudio Todesco], un musicologo [Alessandro Bratus] e un musicista [Omar Pedrini]. Tutti ci hanno dato stimoli molto diversi su cosa è una recensione, su come viene interpretata, e la riflessione era incentrata sull’utilità del genere recensione nel 2016. Nel senso: se una volta la recensione serviva in qualche modo a regolare l’accesso, a cosa può servire adesso e come si può fare?

Be’, c’è ancora quel lato lì. Ad esempio Max del Fico [Max Contini, gestore dell’Antica Osteria del Fico, Cremona. Ndr] compra sempre il Mucchio Selvaggio, guarda le recensioni, magari compara i dischi con i voti più alti a come sono recensiti nelle altre riviste specializzate e in base a quello poi li acquista. Quindi c’è ancora, con le dovute differenze di proporzione, questo aspetto qui.

Per quanto riguarda me e le recensioni … Piccolo cappello introduttivo: io credo che da cinquant’anni a oggi la cosa che sia peggiorata di più in ambito musicale sia proprio l’aspetto critico. Non è peggiorata la canzone. Son sicuro che canzoni orrende c’erano anche all’epoca. Forse l’attenzione e la disponibilità professionale e tecnica all’interno dei luoghi che ospitano i concerti è venuta a peggiorare. Però di sicuro la cosa che è peggiorata di più è il lato di analisi dopo un ascolto. Proprio la critica musicale.

 

Pensi sia una questione culturale? Di attenzione e quindi di tempo che viene dedicato all’ascolto?

Non lo so. Penso che questo gioco qua a tutti i livelli non può prescindere dal denaro. È più facile trovare un artista che ha una forte vocazione e non può fare a meno di scrivere e quindi, anche se non ci sono soldi, continua a fare dei passi in avanti. Magari è un po’ più difficile che ci sia un giornalista musicale con una passione tale da ascoltare 30 dischi a settimana così, solo per hobby. Quindi è un carnaio.

Poi c’è il fatto che le produzioni ora sono molte di più. Anche quello è un problema per chi recensisce. Dovresti fare una scelta,ascoltare il disco tutto il tempo necessario. Invece spesso gli dai solo una bozza e passi a un altro.

Poi ci sono anche delle grosse carenze, va detto, a livello di linguaggio. Pochi sono i recensori che conoscono le grammatiche musicali. Credo che sia importante conoscerle per capire meglio le cose. Purtroppo ora, almeno ai nostri livelli, grossa parte dei critici è composta da giovani alle prime armi che nei blog fanno delle recensioni appassionate ma poco mature. Oppure ci sono dei recensori che hanno una loro esperienza e riescono a guadagnare qualcosa, però sono stanchi e non hanno più la forza e la curiosità di recensire.

Ora vado nella fattispecie all’uscita del mio ultimo disco Plancton, uscito all’inizio di novembre, che in queste due prime settimane ha ricevuto 2 o 3 belle recensioni.

Personalmente vedo la recensione come una relazione, esattamente come quella che c’è stata tra me e voi in questi giorni. È una ricetrasmittenza. È un continuo feedback. Una recensione competente, appassionata e personale non mi dà solo la possibilità di svelare certi segreti inconsci che avevo messo nel disco e che non sapevo, ma mi dà soprattutto il ‘la’ per iniziare un processo creativo. Cioè, una recensione di questo tipo è fondamentale, essendo una ricetrasmittenza, per avere degli stimoli necessari per andare avanti con curiosità nel percorso d’arte. E così sarà per lo stesso recensore provare ad ascoltare un altro disco di Fiori che non è di nuovo quello a cui ci siamo abituati. Perché sennò finisce il gioco! Tanto vale fotocopiare una recensione e cambiare alcune cose. Invece è tutto un gioco a crescere insieme, ad inseguirci. È una relazione, così come la relazione con i miei colleghi musicisti o con i gestori dei locali.

È una cosa rara.

Essendo una relazione di questo tipo, la recensione diventa anche un po’ lo specchio di come hai lavorato tu. Stavolta con Plancton mi son buttato alla cieca seguendo l’istinto ed ho esplorato delle cose nuove che hanno portato freschezza ma anche il dubbio (chissà cosa succederà? Chissà come sarà ascoltato?). Questo fatto di essermi fidato di me, aver seguito l’istinto e non aver accettato nessun tipo di compromesso ha fatto sì che io ora mi trovi davanti delle recensioni che rispecchiano molto quello che ho fatto. Ci sono delle recensioni che dicono: “Che peccato, un talento di scrittura così, una così bella voce che butta via un disco”. La qual cosa mi torna, perché Plancton può essere respingente. Se tu sei uno di quei recensori di cui parlavamo prima, che purtroppo non ha più tempo, energia e forza per studiare, finisce che magari il disco nemmeno lo ascolti tutto, perché tendi a respingere. Se invece i recensori lavorano come dovrebbero lavorare, con pazienza e dedizione, con un po’ di competenza, e si danno il tempo che ci vuole, entrano dentro e riescono a tirar fuori una grande ricchezza. Traducono quello che ho fatto in maniera molto ricca, in maniera molto utile anche per me.

Poi naturalmente alle volte ci sono delle recensioni in cui manca un po’ la conoscenza del linguaggio. E quindi ti trovi delle recensioni appassionate, molto personali, però un filo meno utili. Magari mi posso anche commuovere, li ringrazio di cuore, però  è importante che chi deve recensire abbia una formazione musicale appropriata.

 

Quindi possiamo dire che a livello creativo le recensioni possono essere per te uno stimolo molto importante?

Aspetta, non esageriamo. Diciamo che una  minima parte dello stimolo che mi serve, un humus, arriva dalle recensioni.

 

Ti è mai capitato che delle recensioni abbiano influenzato in qualche modo  la tua ‘carriera’ da musicista? Ad esempio, aiutandoti a trovare delle date o facendo crescere il pubblico dei tuoi concerti.

Intanto mi hai detto questa parola, ‘carriera’, che già mi ha distratto. Davvero. Come se non appartenesse al mio vocabolario. Come altri termini che molto si usano, ad esempio ‘sold-out’. Ecco, questa è proprio una cosa che sento come un disturbo, perché è una parola che racchiude in maniera molto subdola dentro di sé degli stimoli che portano ad adattare un po’ il tuo istinto, ad adattare il tuo percorso. Non so come spiegare. È una di quelle parole tranello che poi crescendo ho visto come tali e dalle quali mi sono semplicemente tenuto alla larga.

E infatti tutto torna, perché è vero che certe recensioni possono portarti un po’ più di pubblico ai concerti. Per portare pubblico ai concerti le recensioni devono essere scritte su delle testate molto lette e quindi devono essere scritte in un certo modo. Non ci può essere un’analisi verticale, ma sarà il più possibile orizzontale. Quelle sono le recensioni che ti portano pubblico ai concerti, in un’ottica di ‘accrescimento dell’utenza’. Ecco, questo accade, senz’altro, ma non mi interessa affatto. Non perché sono un ‘puro’, ma perché ho la necessità di star bene con me stesso. E per star bene con me stesso mi devo guardare allo specchio e mi devo vedere bello. Il pubblico mio è il mio specchio. Se io faccio un lavoro tale che mi porta a trovarmi davanti delle persone che non mi riconoscono (da qui l’importanza del riconoscimento) io mi sento smarrito.

Quindi capisco quello che mi dici. Possono far comodo delle vetrine, canali televisivi, radio grosse, o i siti di alcune delle più importanti testate giornalistiche nazionali. Non so se li avete mai visti, sono agghiaccianti. È una roba …. grave. Riescono a fare una tale accozzaglia di alto, basso … da riuscire a confondere la capacità critica del singolo. Quindi io sono per fare dei passi piccolissimi.

E ti dirò di più. Di qualsiasi proposta, del mondo dello spettacolo, della politica o di qualsiasi ambito, che in poco tempo fa molto pubblico io diffido in maniera automatica, come fosse un dogma. Cioè, so che di quella roba lì devo diffidare. Mi metto subito sulla difensiva. Ben inteso, io non ho e non voglio un pubblico ‘di nicchia’, che è un’espressione che disprezzo. A me piace avere un piccolo pubblico, che cresce piano piano con me. Quello si.

 

Mi viene in mente Calcutta, che è diventato fenomeno dell’anno, pompato proprio tramite i canali a cui ti riferivi tu.

Si, ma infatti lui, non so quanto ci gioca, ma l’ultima volta che l’ho visto era triste. Aveva appena fatto un concerto a Firenze al Tender e non poteva neanche cantare. Cioè cantavano solo gli spettatori, volevano sentire solo quella canzone lì. Gli ho detto “Edo, cazzi tuoi. Non sei così ingenuo da non sapere dove andare a parare”. Lui è uno in gamba, tra l’altro. Fa delle cose belle. Mi ricordo che ci divisi una serata a latina 6 o 7 anni fa. Era giovanissimo. Si presentò. Insomma, uno vispo, trasversale, senza essere snob. Però naturalmente, succede una cosa così … Qualcosa non torna.

 

Nelle recensioni si parla spesso di ‘genere musicale’ e di ‘scena musicale’. Ti senti di appartenere a un genere, ad una scena? Oppure la questione non ti interessa?

Non so che dirti. Rispondimi te se ti sembra che io possa appartenere da un genere piuttosto che a un altro. Per semplificare, senz’altro al mondo del cantautorato. Trasversale. Recentemente l’hanno chiamata ‘musica d’autore d’avanguardia’, unendo i concetti di ‘avanguardia’ e ‘cantautorato’.

Sono un autore, quello sì. Ultimamente sto iniziando ad accettare ed anche ad apprezzare il mio timbro, cosa che spesso mi aiuta a farmi conoscere quando sto sul palco. Ci ho fatto amicizia e inizia a rappresentarmi per quello che sento dentro. Ma comunque non mi sento un cantante o un esecutore. Mi sento un autore.

Ho la sensazione che non sia poi uno scherzo quello che facciamo, anche al nostro livello. Il fatto che ci sia tanta omologazione secondo me non è un caso. Secondo me se uno si accorge che non è solo lì che fa un percorso simile a quello di tanti altri (del furgone, dello scrivere la canzone, del pomiciare la notte con una sconosciuta), se uno capisce che sta coltivando e sta mettendo in relazione la canzone con la sua vita quotidianamente, se ha delle qualità, del talento, si accorge che è un artista.

E un artista in questa comunità, come sempre, è una cosa molto importante. È una cosa che va davvero a scardinare, a dubitare. E quindi quando vedo che c’è una linea retta che segna un percorso come autostradale e tutti seguono quello (poi c’è chi arriva prima e chi dopo al casello, chi non ci arriva mai; c’è chi è più portato e chi meno, o piuttosto c’è chi funziona di più e chi funziona di meno), ecco, io in quel caso divento triste. Non mi viene più voglia di parlare di musica.

Cioè, non è che ti posso parlare dell’ultimo disco di Tizio o di Caio. Quello lo fa il sito di Repubblica. Perché parleremmo di qualcosa che in realtà non ci interessa, non ci interessa più. Quelle sono cose davvero tutte uguali: chi è bravo finisce a suonare il pomeriggio al Primo maggio, chi è più bravo finisce a suonare a Sanremo, ma non ci sono più strade trasversali. Non c’è nessuno che esce dall’autostrada. E quindi boh! È un genere solo ormai, è il genere ‘carriera’, indipendentemente da tutti i possibili etichettamenti.

Spero che non vi venga mai da pensare che queste sono le parole un po’ rammaricate di chi ci ha provato e non ci è riuscito. Vi assicuro che è l’esatto contrario. Se per caso l’avessi fatto anch’io e ci fossi riuscito, adesso sarei davvero triste. Per fortuna ho avuto sempre il destino, e soprattutto l’istinto, che mi ha protetto. E ora mi aiuta, nella misura in cui io lo proteggo, ad andare in dei posti che mi piacciono tantissimo, come per esempio Plancton, al quale non immaginavo neanche che sarei potuto approdare un giorno.

E quindi è un peccato, è strano, anche perché si rimane in pochi e siamo tutti un po’ autunnali. Se è rimasto un critico musicale competente, appassionato, intelligente e curioso e si trova più o meno degli stampi simili, non riesce comunque a mettere in gioco più di tanto, a divertirsi. Così gli artisti, se fanno davvero delle battaglie, non sono gratificati. Secondo me a certe cose bisognerebbe dare un po’ più di importanza. E lo sanno benissimo le cricche che gestiscono i danari, che aiutano a far sì che una cosa sia più o meno importante. Tutto qua.

La prossima volta che suono a Cremona voglio che ci siano tanti amici. Ne ho proprio voglia.

 

 

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